BOLOGNA – “Questo è quello che è successo: sono passati 251 giorni da allora e da quel giorno io vivo in un altro pianeta”. Voce ferma e composta, parole scelte con cura, un sorriso che vela dolore e fatica: lei è Rachel, mamma di Hersh, un giovane di 23 anni, israeliano americano rapito il 7 ottobre dai miliziani di Hamas. Assieme ad altri tre è stato preso, caricato su un pick up e portato a Gaza: era al Festival Nova quando c’è stato l’attacco dei miliziani il 7 ottobre. Assieme ad altri come lui è scappato, si è nascosto in un rifugio di due metri per 1,8 a lato della strada; uno spazio piccolo, ci stavano in 29. Li hanno trovati e hanno iniziato a sparare col mitra e a lanciare granate, quelli che si sono salvati lo devono al fatto di essere rimasti sotto i corpi insanguinati degli altri. Hersh e altri due hanno ricevuto l’ordine di uscire e sono stati portati a Gaza. Rachel riannoda il nastro dei ricordi con parole precise e puntali. Il suo è l’incontro che apre la serie di testimonianze previste a Gerusalemme dal pellegrinaggio di pace guidato dal cardinal Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei.
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Con la mamma di Hersh c’è Dani, il padre di un altro rapito, Omri portato via davanti alla piccola figlia (lei e la madre si sono salvate a differenza di altri che, racconta, sono morti nel Kibbutz vicino a Gaza che è stato attaccato). Hersh è rimasto ferito, ha perso un braccio (‘il’ braccio dato che era mancino), “questo è successo 251 giorni fa e da allora io vivo in un altro pianeta”, dice Rachel esibendo sul petto un cartellino con il conteggio dei giorni. Per chiedere la liberazione del figlio gira con un cartello che lo ritrae in piazza a Milano. “Bring home Hersh”.
Hersh era appena tornato in Israele da un viaggio da solo in Europa per fare amicizie, “ama il calcio e la musica… crede nella positività della vita”, lo descrive la mamma. “Abbiamo fatto il possibile per salvarlo”, dice. Col padre sono andati anche da Papa Francesco, gli hanno mostrato la foto del figlio diffusa dalla Cnn sul momento del rapimento “e lui ci ha detto ‘avete sperimentato il terrorismo che è assenza di umanità’”. Lì si è accesa una luce. “Quelle parole sono state ciò che mi ha permesso di credere ancora nell’umanità” dopo aver passato una fase “in cui non riuscivo a digerire quello che era successo, le sue parole hanno ribaltato tutto”. Rachel dice di essere preoccupata tanto per le sorti degli ostaggi quanto per quelle dei civili di Gaza.
“Non c’è e non ci deve essere una competizione tra i dolori, la cosa pericolosa e lacerante è che ci sia una gara tra i dolori”, scandisce tra gli applausi spontanei, “tutti soffrono”. Proprio cinque giorni fa, Hamas ha diffuso una foto di Hersh, vivo. Ha letto un testo, che era stato preparato, alla fine si è rivolto direttamente ai familiari; forse anche quelle era parole “preparate”, ma a sua madre “non interessa, ho colto quelle parole”. Energia per sperare, e non arrendersi “nonostante la sensazione di essere pedine in un gioco giocato da altri, le pedine sono gli ostaggi e la popolazione civile. E l’unica cosa da fare è aspettare che chi ha iniziato il gioco metta da parte il suo ego e i loro interessi”. Rachel si dice anche “grata” per il viaggio degli italiani e grata al Papa per l’appello a firmare un accordo che ponga fine alle ostilità lanciato domenica scorsa. In tutto questo “la mia fede- confida- è l’unica cosa che mi ha concesso di sopravvivere, senza la fede non potrei stare qui davanti a voi”. Zuppi assicura le sue preghiere per lei. Dani, invece, padre di Omri, sapendo che il figlio prigioniero non può farsi la barba ha deciso di farsela crescere finché non potranno radersi assieme. Anche lui è stato dal Papa che ha sentito vicino come “un padre”; lui, genitore di un figlio che stava in in un Kibbutz a 700 metri da Gaza; lui che si è mandato messaggi col figlio mentre era in corso l’attacco dei miliziani; figlio sopravvissuto, dice, ad un assalto che non ha risparmiato le vite “né dei bambini né dei cani”; lui, Dani, che trova “gioia” nella salvezza della moglie del figlio e della nipotina, mista all’angoscia per il fatto che ci sono storie di prigionieri rimasti a Gaza anche per anni.
Cinque settimane fa Hamas ha mostrato delle foto degli ostaggi, c’era anche quella di Omri. In quel momento “ho sentito una specie di gioia” riesce a dire prima di sperare che “il Papa e i cardinali facciano una dichiarazione congiunta contro l’antisemitismo, che sta crescendo ovunque: sarebbe importante”.
L’articolo Hersh da 251 giorni in ostaggio di Hamas, la mamma: “No a una gara di dolore con Gaza” proviene da Agenzia Dire.
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